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giovedì 27 novembre 2008

Da Robespierre ai giorni nostri.



Durante la Rivoluzione Francese, nell'Assemblea Costituente fu discussa a lungo la sorte da riservare al re Luigi XVI. La Rivoluzione aveva affermato alcuni principi che poi verranno ripresi dalle democrazie europee (libertà, uguaglianza e fratellanza) e alcuni membri dell'Assemblea volevano processare il re seguendo questi principi. Ma il 3 dicembre del 1972 prese la parola
Robespierre: nonostante tempo prima si fosse scagliato contro la pena di morte, egli prese posizione a favore della condanna a morte di Luigi XVI. Il suo sottilissimo ragionamento si articolava in 2 punti fondamentali:

1) la Rivoluzione ha fatto trionfare i principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, ma il re appartiene ai controrivoluzionari, cioè a coloro i quali si sono battuti contro il trionfo di questi principi. Quindi i controrivoluzionari non devono essere processati sulla base del principio
fondamentale della libertà, perché questo li farebbe sentire tutelati dalla libertà stessa, anche se la combattono facendo parte della controrivoluzione;

2) Robespierre afferma inoltre che non è possibile processare il re, in quanto un processo dovrebbe tener presente anche la possibilità che il re sia innocente e quindi la Rivoluzione colpevole ("Luigi non è un accusato; voi non siete dei giudici [riferito ai deputati dell'Assemblea ndr"]; voi siete e non potete essere altro che uomini di stato, rappresentanti della nazione.
Non dovete pronunciare una sentenza a favore o contr o un uomo; dovete prendere una misura di salute pubblica").
Ma poiché la Rivoluzione non può essere colpevole in quanto affermazione del popolo, il re è colpevole. Il trionfo della Rivoluzione è la condanna del re e quindi deve essere giustiziato, tuttavia il concetto di libertà della Rivoluzione dell'89 è comunque una concezione borghese.

Va dunque contestualizzata. Allo stesso tempo rileggendo le parole di Robespierre rivolte all'Assemblea, non ho potuto fare a meno di pensare ai Principi Costituzionali e alla Legge Mancino (che vieta l'apologia al fascismo).
Infatti è soltanto la Costituzione che premette le libertà innanzitutto quelle liberali (anche se sono previste anche quelle sociali): ogni singola affermazione che va contro quelle libertà in nome di esse (come la semplicissima frase contraddittoria "io sono libero di dichiararmi fascista") è anticostituzionale.
La costituzione nasce in un preciso momento storico in cui la lotta contro il fascismo era un prere-
quisito di ogni ulteriore libertà. Tuttavia l'assemblea costituente promosse un concetto di libertà
estremamente ampio che con alcuni ovvii limiti permette a tutti di dire qualsiasi cosa, anche di essere fascista.
Altri stati (per esempio la Germania) hanno deciso diversamente ritenendo di primaria importanza tagliare la strada ad ogni possibile rigurgito di simili ideologie.

A mio avviso sarebbe necessario riconsiderare l'importanza di tutelare lo stato italiano da un ritorno dell'ideologia fascista infatti sono molto preoccupanti le dichiarazioni di numerosi esponenti di Azione Giovani (come "non saremo mai antifascisti", doppia negazione, ergo...), ma anche paradossali e contraddittorie (Giorgia Meloni, di AG, tra l’altro ricopre una carica ministeriale grazie proprio alla Costituzione ed agli antifascisti che l'hanno scritta). Dobbiamo cominciare noi ad opporci a qualunque possibile ritorno al fascismo.
L'opposizione deve ricominciare da qui, dalla partecipazione che è scritta nella Costituzione e che sostituiva il Duce che tutto comandava (non a caso un motto del ventennio è "credere obbedire combattere", non "pensare, partecipare, agire").
A mio avviso è necessario anche prendere provvedimenti più incisivi, come ha fatto la Germania sopracitata, auspico l'intervento della legge penale.

Kirov

1 commento:

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