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martedì 16 dicembre 2008

Riflessioni sull ordine sociale moderno




Ciò che contraddistingue l’uomo dagli altri animali è la sua capacità (o bisogno) di organizzarsi in strutture sociali più o meno ordinate, dalla tribù, al sistema della democrazia oligarchica delle città stato e della res publica, passando per l’impero e il sistema feudale, fino alla democrazia liberale-borghese dei giorni nostri.
E’ chiaro che ognuno di questi singoli sistemi abbia caratteristiche differenti.

Il sistema con cui l’uomo primitivo cercò di organizzarsi era un sistema basato sui ritmi e gli istinti naturali, il sostentamento era dovuto in massima parte dai beni offerti dalla natura e l’attività sessuale (la quale, benché se ne parli molto poco, è un parametro fondamentale nella definizione di un “grado” di civiltà) era totalmente svincolata da qualsiasi tipo di regole al di fuori dell’istinto, ogni bisogno doveva essere soddisfatto, assecondando così quello che Freud ha chiamato il “principio di piacere”.

E’ evidente che un tale principio non può che creare caos, spesso i bisogni dell’uno vanno a contrapporsi ai bisogni dell’altro, creano conflittualità e la società tenderebbe a sfaldarsi. Con l’evoluzione delle civiltà quindi, si è andato sostituendo al “principio di piacere” il “principio di realtà”.
Ogni individuo può soddisfare i propri bisogni umani a patto che ciò non vada a creare conflitti e/o disordine nel tessuto sociale.
La repressione di alcuni bisogni comporta una conseguente sublimazione in altri tipi di attività tese ad emulare il piacere voluto ma represso: parlo di arte, politica e tutto ciò che è comunemente considerato “frutto della civiltà”.

La privazione di una parte della propria libertà è quindi essenziale nella costruzione di una società ordinata e funzionante, ma, come ha notato il filosofo Herbert Marcuse della “Scuola di Francoforte”, non si è mai visto nella storia una organizzazione sociale nella quale la limitazione della libertà individuale fosse la minima indispensabile, e di conseguenza la più funzionale ed equa possibile.

Nell’odierna società liberale-borghese infatti, oltre al “principio di realtà”, l’uomo deve sottostare al cosiddetto “principio di prestazione”. Il processo della divisione dei ruoli e del lavoro ha portato alla stratificazione delle varie mentalità, le quali si sono inesorabilmente omologate ad un certo sistema di valori, tanto la mentalità borghese-padronale quanto quella operaia e contadina.

Il bisogno di sentirsi parte di un certo gruppo, il bisogno di identità insomma, ha fatto abbandonare alle persone di ogni classe il proprio (dell’individuo non della classe) pensiero naturale per supportare invece un sistema prefissato di idee: più o meno implicitamente ognuno fa ciò che la società si aspetta che debba fare. Tale sistema di omologazione ha aumentato a dismisura il suo potere con l’avvento dei mass media. Ogni tipo di comunicazione di massa, che sia manifesto pubblicitario, giornale, radio, televisione, diventa strumento di potere del sistema.

L’obiettivo è quello di creare dei falsi bisogni al fine di portare ogni persona, col suo consumo e con il suo comportamento, ad essere parte integrante del sistema, ad essere il vero “cibo” del sistema. Il “principio di prestazione” è quindi quella spinta artificiale che spinge a dare sempre il massimo secondo i valori capitalisti-consumisti, che spinge all’utilizzare un bene di consumo come simbolo della propria condizione economica (automobile di lusso, vestiario firmato, ecc) e che fa credere alle persone che sia quella la direzione in cui l’umanità deve andare per poter arrivare ad essere sempre più libera, dopo aver impresso nella mente delle masse l’equazione ricchezza=felicità. Essendo però artificiale, il seguire questo principio non può far altro che concedere piaceri temporanei e futili, non sono elementi di libertà come ci vogliono far credere, ma anzi sono la nostra ultima e più moderna condizione di schiavitù.

Questo sistema comunque non trova la sua potenza tanto nell’efficacia quanto nella costanza. Il bombardamento dei cervelli con questi valori ha inizio dalla nascita, i soldatini per il bambino e la Barbie per la bambina, e continua, sempre presente come un fantasma, incameriamo informazioni senza accorgercene, dalla tv, dalle vetrine dei negozi, dalle persone che prendiamo (o ci affibbiano, il confine è labile) come simbolo dell’uomo riuscito: il vincente; ci facciamo convincere di voler essere come lui. L’uomo adesso non è più alienato solo nel lavoro salariato, ma anche nel suo divertirsi e nel suo quotidiano vivere, è una marionetta incapace di vedere i fili del burattinaio. E’ per questo che dobbiamo considerare totalitarie le democrazie borghesi.

La democrazia potenzialmente offre il maggior numero possibile di mezzi per poter liberare l’umanità e per poterla fare arrivare al massimo grado di sviluppo, ma mentre questi
mezzi ci sono, il sistema odierno non permette alle masse di poterli utilizzare.
Le costringe quindi ad una finta libertà, una schiavitù subdola e strisciante che è tanto
difficile far notare a coloro che sono immersi nel sistema quanto è difficile individuarne i processi ed i risvolti pratici e materiali, poiché fa delle piccole e piccolissime quotidianità il suo punto di forza. E’ un processo che non risparmia nessuno, neanche le classi tipicamente anti-sistema.
Sono ormai un ricordo gli anni in cui i lavoratori salariati erano il terrore dei potenti, perché ormai
anche i salariati sono stati persuasi a partecipare a questo gioco.
Gli operai si sono accontentati “delle briciole del banchetto dei padroni”, si sono omologati al sistema.
Tra la via più giusta e quella più facile sono stati indotti in modo subdolo a scegliere la più facile, mettendo a dorme e così la carica rivoluzionaria. L’uomo viene così spersonalizzato, ridotto ad “una unica dimensione”, quella del sistema appunto, dove si trova intrappolato.

Non dobbiamo comunque credere che questo sistema sia indistruttibile. Questa è la situazione di una parte, seppure grande, della popolazione occidentale. Esiste una fascia di popolazione al di sotto dei potenti e della base popolare conservatrice che il sistema non è mai stato in grado di assorbire. Sto parlando di emarginati, reietti, perseguitati, disoccupati, e di tutti coloro che
non hanno perso la consapevolezza che dall’abbattimento del sistema hanno solo da guadagnare.
Magari in futuro, con il complicarsi e l'ingrandirsi delle contraddizioni intrinseche del sistema capitalistico, avremo una forte pauperizzazione del ceto medio, la crisi economica attuale potrebbe rappresentarne il preambolo.
La classe operaia omologata al sistema non potrà più trarre sostentamento dai contentini offerti dai padroni, e potrebbe riacquistare coscienza di classe e carica rivoluzionaria.
Nonostante i se ed i ma, evitando previsioni azzardate, il sistema potrà essere cambiato solo dal basso, dallo strato più basso della società. Il passo decisivo nell'evoluzione della società umana non può che essere fatto dagli sfruttati, sfruttati che però siano coscienti della loro condizione di schiavitù.

Forse peccando di superbia, concludo questo articoletto così come Marcuse concluse una delle sue più grandi opere, con una citazione di Walter Benjamin: <<E’ solo per merito dei disperati che ci è data una speranza>>.

[Ispirato dalla filosofia di Herbert Marcuse]

Spartaco II

giovedì 4 dicembre 2008

Berlusconi in Albania per un viaggio politico, o meglio, di affari

Verrà costruito nel sud dell'Albania un rigassificatore da 1 miliardo di euro e dalla capacità di 8 miliardi di metri cubi di gas all'anno, il più grande progetto mai realizzato nel paese da un gruppo estero, il gruppo italiano Falcione. L'intesa con il governo è stata firmata alla presenza del presidente albanese Sali Berisha e del premier italiano e prevede che il gas riconvertito verrà in parte convogliato in Italia. Berisha ha anche invitato le aziende italiane ad investire in Albania, dove troveranno meno burocrazia e meno tasse che altrove. Ed infatti i rapporti fra i due Paesi si stanno intensificando, tanto che nella visita di Berlusconi sono stati siglati accordi fra 4 imprese italiane ed il governo di Tirana, quella per il rigassificatore, appunto, per la posa di un di un cavo elettrico sottomarino e per la realizzazione di un cementificio e di un tratto stradale.

fonti:http://www.larinascita.org/

lunedì 1 dicembre 2008

Il personaggio: Frida Kahlo


Nel 1910 in Messico inizia la rivolta armata contro la dittatura di Porfirio Diaz e la voglia di essere "figlia della rivoluzione" porterà Frida a far credere di essere nata quell’anno (invece che il 6 luglio 1907).
Fu suo padre, un ebreo emigrato dalla Germania a 19 anni, a scegliere il nome (da Fried: pace in tedesco, che poi lei trasformerà in Frida come contestazione alla politica nazista tedesca) ad avvicinarla all’arte e a persuaderla a frequentare l’ambita scuola preparatoria nazionale.
Superato l’esame, Frida si aggregò ai “Cachuchas” un gruppo di studenti che si autodefiniva “provocatorio, antidogmatico e insolente” e nel quale si discuteva di filosofia e letteratura come di politica.
Nel 1925 l'autobus sul quale viaggiava si scontrò con un tram, il corrimano le trapassò il bacino, procurandole fratture alla spina dorsale, alle gambe e alle costole.
Costretta a trascorrere immobilizzata a letto un lungo periodo iniziò a dipingere in modo regolare: grazie al cavalletto e allo specchio, riusciva tramite la pittura ad esternare la sua sofferenza.
Finita la convalescenza, riprese i contatti con i Cachuchas tramite i quali conobbe Julio Antonio Mella, Tina Modotti e Diego Rivera (gli ultimi due, rispettivamente, fotografa ufficiale e fondatore di “El machete” il giornale ufficiale del partito comunista). Frida e Diego si erano già incon-
trati nel ‘22 quando il già famoso muralista aveva ricevuto l’incarico di dipingere l’anfiteatro della sua scuola.
Entrata in contatto con l’ambiente politico, si iscrisse al partito comunista messicano nel ’28, si allontanò più tardi quando Diego venne espulso per le sue opinioni trotzkiste e antistaliniste.
Nel ’29 i due si sposarono, la madre della sposa non digeriva Diego che a suo dire era
“vecchio, grasso e, peggio che mai, comunista e ateo”.
Arrivò la prima gravidanza, inevitabilmente interrotta a causa dei danni al bacino derivati dall’incidente, a distanza di un anno ebbe un aborto spontaneo e venne ricoverata all’Henry Ford Hospital (evento descritto nell’omonimo quadro ambientato nella Detroit industria dove Frida giace in un letto di ospedale, dalla sua mano un cordone la collega al feto ormai perso,
all’inefficiente struttura del bacino, al fiore regalatole da Diego e alla lumaca che rimanda alla lentezza dell’aborto). La coppia si trasferì a New York quando Diego ricevette l’incarico di dipingere un murale al Rockefeller Center ma presto venne licenziato per aver
messo la faccia di Lenin ad uno dei lavoratori rappresentati ed essersi rifiutato di modificarla.
Nonostante l’infedeltà di Diego fosse una costante di cui Frida era sempre stata consapevole, la storia con sua sorella Cristina fu una cosa di cui non riuscì a dimenticare, dipinse quindi il Recuerdo (trafitta da una sbarra, il cuore è ai suoi piedi e sta sanguinando mentre
l’assenza delle mani indica l’impotenza di fronte alla situazione che sta vivendo). È in questo periodo che, forse per un vendicativo bilanciamento di conti, si intrattiene sessualmente con compagnie sia maschili che femminili.
In occasione dello scoppio della guerra civile spagnola Frida partecipò alla fondazione di un comitato di solidarietà in aiuto ai repubblicani, nel frattempo i rapporti con Diego erano apparentemente migliorati e venne loro affidato l’asilo politico di Trotsky e della moglie
(con il quale si vocifera una relazione di alcuni mesi).
Il poeta surrealista Andrè Breton arrivato in Messico per conoscere Trotsky, venne conquistato dalle sue opere a tal punto da organizzarle mostre a New York e Parigi dove riscosse consensi da pittori come Picasso, Duchamp, Kandinskij e Mirò. Mentre la sua fama artistica cresceva le condizioni fisiche non le davano tregua tanto da farle dipingere La columna rota (in un paesaggio desolato e arido, si ritrae punta da numerosi chiodi, dei quali il più grande sul cuore, viviseziona il suo corpo per mostrare una allegorica colonna piena di crepe).
I rapporti con Diego continuarono a peggiorare fino al 6 novembre ’39 quando divorziarono, Frida si tagliò i capelli e abbandonò i vestiti messicani: questa era l’altra de Las dos Fridas (gli sguardi
rivolti al pubblico, la Frida “senza Diego” in un bianco abito europeo macchiato tiene la mano
alla Frida “malata di Diego” vestita da messicana e con in mano un medaglione con l’amato, i due
cuori sono collegati da un cordone-vena bloccata da una pinza emostatica che impedisce il fatale
dissanguamento della Frida “forte”, dietro un cielo tempestoso preannuncia brutte notizie) ma la
separazione non durò a lungo, l’8 dicembre 1940 si risposarono. Nel 1946 venne operata alla co-
lonna, ormai Sin esperanza (l'opera dove, stesa su un letto di ospedale, è costretta da una macchina a ingerire alimenti nauseanti) cominciò a far uso di droghe e dovette ricorrere all’amputazione di una gamba.
Nel ‘53 le venne finalmente dedicata una mostra in Messico, alla quale nemmeno le gravi condizioni fisiche le impedirono di partecipare, nel suo letto si fece trasportare al museo con l’ambulanza.
Negli ultimi giorni la necessità di diffondere la causa politica divenne impellente: era sempre più
convinta che El marxismo darà salud a los enfermos come dipinse (l’aquila americana minaccia tenendo fra gli artigli una bomba mentre la colomba della pace vola sui "rossi" territori e le mani simbolo del marxismo hanno l’occhio della saggezza e la sorreggano liberandola dalla necessità delle stampe fece un autoritratto con Stalin e pochi giorni prima di morire partecipò a una manifestazione contro la caduta del governo democratico del Guatemala, provocata dalla Cia statunitense nonostante fosse costretta sulla sedia a rotelle e con la polmonite.
Il 13 luglio 1954 Frida morì, la diagnosi fu embolia polmonare, il corpo venne cremato e Diego avvolse la bara in una bandiera del partito comunista. Un anno dopo la sua morte, Rivera
cedette la casa al governo messicano per trasformarla in un museo.

BlancaTruebaGarcia

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