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giovedì 23 ottobre 2008

L'unità della resistenza: il punto di vista comunista


Le forze di cui disponeva la Resistenza erano
certamente non omogenee sul piano politico.
Una buona parte dello spettro politico del
tempo trovava, sia pure in proporzioni diverse,
la sua rappresentazione. Si andava da certi settori
di monarchici, (specialmente dopo l'8 Settembre)
passando dai liberali, da organismi democratico-
borghesi, fino ai socialisti, ai comunisti
e persino agli anarchici. In modo abbastanza
schematico, potrei, senza nessuna pretesa di
essere esauriente ricordare come, accanto a
coloro che arrivarono alla Resistenza seguendo
un ben preciso itinerario ideologico di militanza
nei partiti messi fuori legge dal fascismo, si
potessero trovare anche molti giovani per i
quali la scelta antifascista derivava da proprie
esperienze personali, e segnava la propria maturità
interiore. Questo rende l'idea della varietà
della composizione umana dei partigiani,
anche se certamente corre i rischi tipici di tutte
le schematizzazioni, ossia quelli di generalizzare
astrattamente fenomeni ben più complessi.
Al momento del ritorno di Togliatti dall'esilio,
Marzo 1944, i comunisti collaboravano si, con
le altre forze della resistenza, ma solo, per così
dire, nell'immediato. La prospettiva della rivoluzione
socialista, sentita come prossima a venire,
portava a considerare le altre forze antifasciste
un po' come il nemico di domani, dal
quale si pensava occorresse mantenere le distanze.
In ogni caso, il settarismo di Bordiga aveva
lasciato il segno, portando il partito a considerare
con sospetto ogni organismo esterno.
Qui occorre una digressione cronologica; su come
il PCI si sia rapportato alle altre forze antifasciste,
dall'avvento al potere del fascismo, fino a
quella che passerà alla storia come "la svolta di
Salerno". Per ridurre ( e condurre) il discorso
ad un esempio estremo, ricorderò lo scetticismo
(per non dir peggio)del partito di fronte al
fenomeno (schiettamente popolare) dei cosiddetti
"Arditi del Popolo"la cui composizione politica,
(socialisti, comunisti, anarchici) era comunque
più omogenea di quella che avrebbe
preso le armi contro il fascismo in seguito. Ma
nel frattempo, tra le altre cose, c'era stata la lezione
della guerra civile spagnola, essenziale nella
formazione di Togliatti, che aveva, a prescindere
dagli esiti, e dalle problematiche irrisolte
che poneva, mostrato l' imprescindibilità della
collaborazione antifascista di forze politiche eterogenee.
Dal punto di vista ideologico, il terreno
era stato preparato sia dal lavoro di Gramsci,
(necessità di una battaglia di egemonia all'interno
della società civile) sia dalle conclusioni
del settimo congresso del l'Internazionale Comunista
del 1935, dove era stata analizzata ideologicamente
la necessità di fronti popolari antifascisti
comprendenti anche forze democraticoborghesi.
Il risultato più”formale” nell'immediato
fu l'entrata di Togliatti nel governo Badoglio.
Togliatti insistè per far sì che il fronte di unità
nazionale si mantenesse il più a lungo possibile
anche nel dopo-Liberazione, (e che poi l'inevitabile
scontro si mantenesse nei binari delle norme
costituzionali) evitando così il ripetersi della
situazione della Grecia, dove, all'indomani della
liberazione, le divergenze tra gli antifascisti sfociarono
in scontro aperto. Con i risultati che
sappiamo.Ancora oggi, l'ANPI cerca di portare
avanti gli ideali dell'antifascismo nello spirito unitario
di “fronte popolare” che caratterizzò la
Resistenza.

Gianluca Angeli

N.b. Rimando, per approfondimenti, il lettore o
la lettrice ai primi capitoli dell'opera: “Storia
d'Italia dal dopoguerra ad oggi” di P.Ginsburg.

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