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giovedì 8 maggio 2008

da "La scomparsa dei fatti", Marco Travaglio - Edizioni Il Saggiatore

La verità è difficile da svelarsi

In principio erano le armi di distruzione di massa. Per prevenire il temibile attacco di Saddam al resto del mondo, partì la guerra all'Iraq. Poi si scoprì che le armi non c'erano, dunque non c'era nulla da prevenire. Allora si disse che bisognava colpire, a Baghdad, il più temibile alleato e foraggiatore e pro­tettore di Al Qaeda. Poi si scoprì che i due nemmeno si conoscevano, anzi si odiavano. Poi si disse che eravamo lì per liberare gli Iracheni da Saddam e dai suoi aguzzini della Guardia repubblicana. poi si scoprì che molti dei suoi aguzzini della Guardia repubblicana, appena catturati, venivano travestiti da uf­ficiali del governo provvisorio insediato dagli angloamericani e rimessi in pi­sta. Allora si disse che bisognava restare lì perché gli iracheni lo volevano,infatti ci accoglievano come liberatori.

Poi si scoprì che ci sparavano addosso. Al­lora si disse che eravamo lì per esportare
la democrazia.


Poi si scoprì che,già che c'eravamo, esportavamo anche la tortura (per esempio nel carcere di Abu Ghaib), della quale peraltro l'Iraq era da tempo un discreto produttore. Allora Giuliano Ferrara, che è molto intelligente, disse che c'è una bella differenza tra la tortura di Saddam e la nostra: lui i torturati mica li fotografava, noi sì perché siamo democratici. Clic. Volete mettere la differenza? Allora si disse che biso­gnava restare per riportare la pace in Iraq, contro una guerra che prima non c'e­ra e che avevamo scatenato noi. Poi si scopri che la pace faceva più morti della guerra. Allora si disse che bisognava restare per combattere il terrorismo. Poi si scoprì che di terroristi in Iraq non ce n'erano, almeno prima dello sbarco delle truppe occidentali: ne arrivarono a migliaia da tutto il mondo arabo e ne sorse­ro molti in loco, dopo il nostro arrivo; insomma il terrorismo, da quando lo combattiamo, aumenta. Allora si disse che bisognava restare perché altrimenti sarebbe scoppiata la guerra civile tra sciiti e sunniti. Poi, consultando i libri di storia, si scoprì che quella irachena non conosce guerre civili, ma grazie alla nostra presenza sul posto ottenemmo anche questo risultato: scatenare la prima guerra civile della storia dell'Iraq. A questo punto il segretario di stato americano Colin Powell ingranò la retromarcia: <>. Ma dovette andarsene lui dalla carica di segreta­rio di Stato, rimpiazzato da Condoleezza Rice.

Le bugie che compongono la Grande Menzogna della guerra preventiva sono infinite. Impossibile contarle. Ma al­meno un merito l'hanno avuto: quello di evidenziare le falle, forse irrimediabili, del sistema dell'informazione. Non solo italiano, ma di tutto il mondo cosiddetto libero. Con un distinguo non da poco: tutti i capi di governo che hanno condiviso la scriteriata guerra di occupazione dell'Iraq, da Bush a Blair ad Aznar, sono precipitati ai minimi storici di popolarità, tranne uno: Silvio Berlusconi. Sia pure tardivamente, infatti, i media americani, inglesi, spa­gnoli e così via hanno smascherato le bugie dei rispettivi governi. Quelli italiani, se si eccettuano poche e trascura­bili enclave della carta stampata, se ne sono ben guardati. Anche perché, secondo la migliore tradizione italiota, la gran parte degli intellettuali da copertina, lungi dal costruire un contropotere del pensiero rispetto alla voce del pa­drone, si è appiattita a trombetta del pensiero unico. E mai come in occasione della guerra preventiva si è data la missione di trovare le parole più appropriate per nascondere le verità scomode, per confondere le idee alla gente con sottili distinguo, sofismi furbetti, continui spostamenti del dibattito sempre più lontano dai fatti. Dalle armi di sterminio all'esportazione della democrazia, dalla lotta la terrorismo alla difesa dell'Occidente e della <> e addirittura della Chiesa cattolica, e via di questo passo, all'infinito.

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