Ciò che contraddistingue l’uomo dagli altri animali è la sua capacità (o bisogno) di organizzarsi in strutture sociali più o meno ordinate, dalla tribù, al sistema della democrazia oligarchica delle città stato e della res publica, passando per l’impero e il sistema feudale, fino alla democrazia liberale-borghese dei giorni nostri.
E’ chiaro che ognuno di questi singoli sistemi abbia caratteristiche differenti.
Il sistema con cui l’uomo primitivo cercò di organizzarsi era un sistema basato sui ritmi e gli istinti naturali, il sostentamento era dovuto in massima parte dai beni offerti dalla natura e l’attività sessuale (la quale, benché se ne parli molto poco, è un parametro fondamentale nella definizione di un “grado” di civiltà) era totalmente svincolata da qualsiasi tipo di regole al di fuori dell’istinto, ogni bisogno doveva essere soddisfatto, assecondando così quello che Freud ha chiamato il “principio di piacere”.
E’ evidente che un tale principio non può che creare caos, spesso i bisogni dell’uno vanno a contrapporsi ai bisogni dell’altro, creano conflittualità e la società tenderebbe a sfaldarsi. Con l’evoluzione delle civiltà quindi, si è andato sostituendo al “principio di piacere” il “principio di realtà”.
Ogni individuo può soddisfare i propri bisogni umani a patto che ciò non vada a creare conflitti e/o disordine nel tessuto sociale.
La repressione di alcuni bisogni comporta una conseguente sublimazione in altri tipi di attività tese ad emulare il piacere voluto ma represso: parlo di arte, politica e tutto ciò che è comunemente considerato “frutto della civiltà”.
La privazione di una parte della propria libertà è quindi essenziale nella costruzione di una società ordinata e funzionante, ma, come ha notato il filosofo Herbert Marcuse della “Scuola di Francoforte”, non si è mai visto nella storia una organizzazione sociale nella quale la limitazione della libertà individuale fosse la minima indispensabile, e di conseguenza la più funzionale ed equa possibile.
Nell’odierna società liberale-borghese infatti, oltre al “principio di realtà”, l’uomo deve sottostare al cosiddetto “principio di prestazione”. Il processo della divisione dei ruoli e del lavoro ha portato alla stratificazione delle varie mentalità, le quali si sono inesorabilmente omologate ad un certo sistema di valori, tanto la mentalità borghese-padronale quanto quella operaia e contadina.
Il bisogno di sentirsi parte di un certo gruppo, il bisogno di identità insomma, ha fatto abbandonare alle persone di ogni classe il proprio (dell’individuo non della classe) pensiero naturale per supportare invece un sistema prefissato di idee: più o meno implicitamente ognuno fa ciò che la società si aspetta che debba fare. Tale sistema di omologazione ha aumentato a dismisura il suo potere con l’avvento dei mass media. Ogni tipo di comunicazione di massa, che sia manifesto pubblicitario, giornale, radio, televisione, diventa strumento di potere del sistema.
L’obiettivo è quello di creare dei falsi bisogni al fine di portare ogni persona, col suo consumo e con il suo comportamento, ad essere parte integrante del sistema, ad essere il vero “cibo” del sistema. Il “principio di prestazione” è quindi quella spinta artificiale che spinge a dare sempre il massimo secondo i valori capitalisti-consumisti, che spinge all’utilizzare un bene di consumo come simbolo della propria condizione economica (automobile di lusso, vestiario firmato, ecc) e che fa credere alle persone che sia quella la direzione in cui l’umanità deve andare per poter arrivare ad essere sempre più libera, dopo aver impresso nella mente delle masse l’equazione ricchezza=felicità. Essendo però artificiale, il seguire questo principio non può far altro che concedere piaceri temporanei e futili, non sono elementi di libertà come ci vogliono far credere, ma anzi sono la nostra ultima e più moderna condizione di schiavitù.
Questo sistema comunque non trova la sua potenza tanto nell’efficacia quanto nella costanza. Il bombardamento dei cervelli con questi valori ha inizio dalla nascita, i soldatini per il bambino e la Barbie per la bambina, e continua, sempre presente come un fantasma, incameriamo informazioni senza accorgercene, dalla tv, dalle vetrine dei negozi, dalle persone che prendiamo (o ci affibbiano, il confine è labile) come simbolo dell’uomo riuscito: il vincente; ci facciamo convincere di voler essere come lui. L’uomo adesso non è più alienato solo nel lavoro salariato, ma anche nel suo divertirsi e nel suo quotidiano vivere, è una marionetta incapace di vedere i fili del burattinaio. E’ per questo che dobbiamo considerare totalitarie le democrazie borghesi.
La democrazia potenzialmente offre il maggior numero possibile di mezzi per poter liberare l’umanità e per poterla fare arrivare al massimo grado di sviluppo, ma mentre questi
mezzi ci sono, il sistema odierno non permette alle masse di poterli utilizzare.
Le costringe quindi ad una finta libertà, una schiavitù subdola e strisciante che è tanto
difficile far notare a coloro che sono immersi nel sistema quanto è difficile individuarne i processi ed i risvolti pratici e materiali, poiché fa delle piccole e piccolissime quotidianità il suo punto di forza. E’ un processo che non risparmia nessuno, neanche le classi tipicamente anti-sistema.
Sono ormai un ricordo gli anni in cui i lavoratori salariati erano il terrore dei potenti, perché ormai
anche i salariati sono stati persuasi a partecipare a questo gioco.
Gli operai si sono accontentati “delle briciole del banchetto dei padroni”, si sono omologati al sistema.
Tra la via più giusta e quella più facile sono stati indotti in modo subdolo a scegliere la più facile, mettendo a dorme e così la carica rivoluzionaria. L’uomo viene così spersonalizzato, ridotto ad “una unica dimensione”, quella del sistema appunto, dove si trova intrappolato.
Non dobbiamo comunque credere che questo sistema sia indistruttibile. Questa è la situazione di una parte, seppure grande, della popolazione occidentale. Esiste una fascia di popolazione al di sotto dei potenti e della base popolare conservatrice che il sistema non è mai stato in grado di assorbire. Sto parlando di emarginati, reietti, perseguitati, disoccupati, e di tutti coloro che
non hanno perso la consapevolezza che dall’abbattimento del sistema hanno solo da guadagnare.
Magari in futuro, con il complicarsi e l'ingrandirsi delle contraddizioni intrinseche del sistema capitalistico, avremo una forte pauperizzazione del ceto medio, la crisi economica attuale potrebbe rappresentarne il preambolo.
La classe operaia omologata al sistema non potrà più trarre sostentamento dai contentini offerti dai padroni, e potrebbe riacquistare coscienza di classe e carica rivoluzionaria.
Nonostante i se ed i ma, evitando previsioni azzardate, il sistema potrà essere cambiato solo dal basso, dallo strato più basso della società. Il passo decisivo nell'evoluzione della società umana non può che essere fatto dagli sfruttati, sfruttati che però siano coscienti della loro condizione di schiavitù.
Forse peccando di superbia, concludo questo articoletto così come Marcuse concluse una delle sue più grandi opere, con una citazione di Walter Benjamin: <<E’ solo per merito dei disperati che ci è data una speranza>>.
[Ispirato dalla filosofia di Herbert Marcuse]
Spartaco II